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Rappresentazione visiva dell'articolo: La liquidità ha un costo?

Autore: Antonio Scicchitano

Data di pubblicazione: 13 ottobre 2021

La liquidità ha un costo?

Ogni giorno incontro risparmiatori con ingenti somme di denaro “abbandonate” sui loro conti correnti in attesa di “tempi migliori”,l’incertezza del tempo che viviamo e la conseguente ricerca della sicurezza oltre all’illusione di ridurre i costi  portano molti  semplici risparmiatori o addirittura imprenditori a “restare liquidi”  lasciando in giacenza capitali importanti sui conti correnti, si stimano circa 1.300 miliardi di euro a livello nazionale.Mantenere della liquidità depositata in un conto corrente non è certo privo di oneri. Per comprendere in quale misura questo sia vero, occorre tenere presente un valore di costo almeno del 3,4%, che comprende: il valore dell’inflazione preliminare in Eurozona nel mese di settembre, i costi di mantenimento del conto, nonché l’imposta di bollo (che ammonta a 34,2 euro in caso di persone fisiche, e a 100 euro per soggetti giuridici su un deposito medio di 5000 euro). Nel caso delle imprese, poi, la banca può applicare uno 0,5% aggiuntivo per giacenze superiori ai 100.000 euro a titolo di Elf (Excess Liquidity Fee), una nuova tassazione istituita recentemente dal sistema bancario, che sommata al valore calcolato in precedenza farebbe toccare almeno il 3,9% in totale.

Sono dunque sufficienti poche considerazioni per comprendere come lasciare i proprio soldi fermi in un conto corrente rappresenti una perdita certa: volendo semplificare, su un conto di 100.000 euro il costo annuale ammonterebbe a 3.400 euro solo di inflazione, cui sommare 500 euro a titolo di Elf.

Nonostante questi concetti non costituiscano affatto un fattore di novità, solo una scarsissima fetta della popolazione italiana è attiva nel far fronte alla crescente inflazione investendo, e si riscontra una sempre maggiore tendenza alla liquidità: secondo quanto emerge dai dati di Banca Italia, negli ultimi dieci anni la liquidità delle imprese è quasi raddoppiata, mentre sul fronte delle famiglie è salita approssimativamente del 43%. 

L’eccessiva liquidità è stata anche messa in evidenza dalla Banca centrale europea in quanto indice di scarsa inclinazione a spendere o ad investire, implicando di fatto un danno consistente non soltanto per quanto riguarda la mancata espansione economica dell’eurozona, ma anche per le banche, che risentono di una commissione dello 0,5% per depositare la giacenza in eccesso rispetto al valore dei prestiti a Francoforte.

Da altri dati raccolti da Banca Italia è emerso, inoltre, un rapporto in netto calo fra impieghi e depositi: ciò significa che le banche detengono più giacenze che prestiti attivi, deviando da quello che dovrebbe essere il vero scopo di un istituto finanziario, ovvero erogare dei prestiti.

In sostanza, si evidenzia sempre di più quella che gli economisti chiamano stagflazione, ovvero la combinazione degli effetti avversi dovuti alla stagnazione e all’inflazione, entrambi in continua crescita; un circolo vizioso in cui all’interno dello stesso mercato sono compresenti un aumento generale dei prezzi ed assenza di crescita economica.

Da una riflessione generale su questi pochi punti affiora in maniera tangibile il rischio di non arrivare ad una ripresa economica rassicurante in termini definitivi; perché ciò non si verifichi e soprattutto se si auspica ad una crescita economica, risulta indispensabile un cambio generale di mentalità nella gestione del risparmio privato. 

Il supporto di un professionista in questo processo è fondamentale, non è semplice barcamenarsi in un ginepraio di strumenti finanziari che promettono un nuovo eldorado quando invece riuscire a strappare un rendimento maggiore dell’inflazione con un rischio basso è un’impresa tutt’altro che facile.

 

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